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Georges Güntert, Tre premesse e una dichiarazione d'amore: vademecum per il lettore del «Decameron», Modena, Mucchi, 1997.

Georges Güntert

Intervista a cura di Lisa Mangili

Georges Güntert, nato a Lenzburg, Argovia, il 27 giugno 1938, è approdato all’Università di Zurigo come studente nel 1958. Laureatosi nel 1963, ha inizialmente insegnato in un liceo per poi affrontare un’esperienza di studio in Portogallo, dove ha redatto la sua abilitazione. E’ professore emerito dell’Universitä di Zurigo, dove è stato titolare della cattedra di letteratura italiana e ispano-romanza dal 1973.

Come è approdato all’Università di Zurigo?

Scelsi di studiare in questa università e mi iscrissi nel 1958. Allora eravamo ancora in pochi a seguire gli studi di lingue romanze. Ho avuto subito un buon contatto con gli italianisti, cioè con quei tre o quattro ticinesi che c’erano allora. La mia carriera accademica poi è stata assai rapida: mi chiamarono da subito a tenere dei corsi. Accadde alla fine del 1968 perché se ne andava in pensione Bezzola, che aveva insegnato letterature francese e italiana. Hilty ,che aveva cominciato da poco e che era soprattutto un linguista, specializzato anche in letteratura spagnola medievale, voleva accanto a sé un ispanista che si occupasse dei secoli moderni. Inizialmente mi incaricarono di tenere un corso di letteratura italiana su Boccaccio, poi un seminario di Spagnolo, e infine mi nominarono professore assistente nel ’69, Assistenzprofessor, come si diceva allora, incarico non identico all’assistentato di oggi. Da allora in poi ho tenuto seminari sulle due letterature, focalizzandomi maggiormente sulla seconda.

Come è maturata la sua decisione di seguire questi studi?

Penso che la scintilla sia nata al liceo, dove avevamo un professore di francese e poi di spagnolo molto entusiasta che ci spiegò molte cose che non facevano parte del programma d’insegnamento liceale. Lo studio comparato delle lingue romanze mi ha interessato sin da quel momento, e quindi all’Università ho studiato italiano come materia principale, e francese, spagnolo, portoghese come secondarie.

Dalla sua biografia è emerso un interesse per uno studio comparato delle lingue romanze. Che tipo di vantaggi offre questa prospettiva di studio rispetto ad una focalizzazione su una lingua singola?

Penso che questo tipo di formazione sia molto utile e necessaria, perché solo chi studia almeno due lingue o letterature romanze, può avere successo nel mondo accademico. Prendiamo ad esempio la Germania, dove ai professori universitari richiedono sempre la specializzazione in almeno due letterature.

Come mai la scelta di studiare a Zurigo e non all’estero?

A dispetto della generazione precedente, quella della guerra, noi avevamo la possibilità di spostarci e di studiare all’estero. Non che fossimo ricchi, ma grazie alle borse di studio potevamo muoverci con grande facilità. Ho studiato a Pavia, a Parigi, a Madrid, a Coimbra, seguendo quindi quasi la metà dei miei studi universitari all’estero. Ma poi ho deciso di mettere a frutto la mia esperienza di studi internazionale qui a Zurigo.

Quali sono i suoi interessi primari nel campo dell’italianistica?

Per quanto riguarda l’italianistica, gli interessi sono nati a poco a poco. Mi sono sempre piaciuti i grandi scrittori, i grandi poeti, i massimi. Come docente mi chiedevo: “Cosa deve assolutamente sapere uno studente di letteratura italiana alla fine dei suoi studi?” Ecco, questa credo che sia la ragione principale per cui ho dato la preferenza ai grandi autori, pur con qualche variazione, ma diciamo che Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Leopardi, e Manzoni non sono mai mancati nel mio repertorio.

Come giudica lo stato delle lingue romanze, in particolare dell’italiano, a Zurigo?

Da un lato possiamo rallegrarci di questa presenza dell’italiano nella nostra università, tenendo presente tuttavia che la tendenza sta cambiando. Lo Spagnolo infatti sta sostituendo l’Italiano e molti licei devono lottare per mantenere almeno lo status quo. Possiamo dire che oggi abbiamo più professori di italianistica, ma bisogna darsi da fare per mantenere questa situazione.

Vede come una specie di sfida il fatto di insegnare una lingua come l’italiano in un luogo come Zurigo?

Certamente non è sempre facile, se si ha un pubblico per metà di madre lingua tedesca, è difficile decidere che metodo d’insegnamento adottare. Io direi che siamo però in qualche modo riusciti a risolvere questi problemi. Non direi che sia sempre stato facile ma le difficoltà possono costituire uno stimolo e un arricchimento.

Secondo Lei è cambiato l’interesse e l’atteggiamento nei confronti di questa lingua nel corso del tempo? E in quali modi Lei ritiene si possa mantenere vivo l’ interesse nel confronto di questa lingua?

Chi ha veri interessi letterari sarà sempre attratto da alcuni autori, sia del passato che del presente. O si ha la passione o non la si ha; se c’è la passione l’interesse rimane. Secondo me ci sono stati grandi cambiamenti per quanto riguarda gli studenti, in primo luogo penso che il numero abbia influito non poco, anche se in passato l’allievo in generale era più maturo, con più personalità. Poi negli anni ’60 i licei si sono aperti e il numero di studenti è cresciuto enormemente; a quel punto abbiamo dovuto cominciare a modificare i nostri metodi di insegnamento.

Dal punto di vista didattico, che tipo di metodologia ha voluto trasmettere ai suoi studenti?

Di metodologia, non ce n’è solo una; in primo luogo si tratta di insegnare quello che si può e quello che non si può dire in letteratura. Bisogna sapere di cosa si parla. Bisogna dare agli studenti gli strumenti necessari per affrontare un testo, come i concetti di narratologia. Però non sono mai stato dogmatico, non ho mai ammesso solo il mio punto di vista; in lettura si va, secondo me, per approssimazione. Poi quest’approssimazione può risultare più o meno corretta.